Giovedì 24 settembre, presso l’Oratorio della SS. Annunziata, ad Avellino, con la relazione del professor Piero Bevilacqua (Università di Roma “La Sapienza”) su La questione meridionale nell’analisi dei meridionalisti, ha avuto inizio il ciclo di conferenze I protagonisti della politica meridionalistica tra 1800 e 1900, organizzato dal Centro Dorso in occasione del novantesimo anniversario della pubblicazione della Rivoluzione meridionale di Guido Dorso. Dopo i saluti del dottor Costantino Capone, presidente della Camera di Commercio di Avellino, ha introdotto i lavori il professor Sabino Cassese, presidente del Centro Dorso.
Il prof. Bevilacqua ha percorso tutta la storia della questione meridionale, dalla sua nascita (la pubblicazione nel 1878 delle Lettere meridionali di Pasquale Villari) fino agli anni a noi più prossimi.
Bevilacqua ha analizzato il pensiero degli studiosi più significativi dell’età liberale (Sonnino, Franchetti, Fortunato, Salvemini, Gramsci, Dorso) che hanno considerato, sia pure da differenti punti di vista, la questione meridionale come “la” questione nazionale per eccellenza, che si sarebbe dovuta affrontare e risolvere per garantire lo sviluppo dell’intero paese.
Dopo il ventennio fascista, che cancellò dal dibattito politico il problema, nell’Italia repubblicana la questione divenne materia programmatica dei grandi partiti di massa.
Grazie a Saraceno e a Morandi nacque nel 1946 la SVIMEZ (associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno). Nel 1950 venne realizzata la riforma agraria che frantumò il latifondo e distribuì 400 mila ettari alle famiglie contadine. Nello stesso anno venne creata la Cassa per il Mezzogiorno, che, nei primi dieci anni di vita, compì una vasta opera di modernizzazione del Sud (bonifiche, strade, reti idriche e fognarie, ecc.). Dopo il ’57, la Cassa insediò stabilimenti industriali (i “poli di sviluppo”) e il tema dell’industrializzazione divenne il tema centrale di un vivace dibattito tra le forze politiche e sulle riviste che videro la luce in quel periodo (“Nord-Sud”, “Cronache meridionali”). Negli anni ’60, grazie a questi interventi, il Sud mutò volto e andò omologandosi al resto del Paese. Di conseguenza, il dibattito sul Sud perse vigore.
Nel 1986 Placanica, Donzelli, Bevilacqua e altri fondarono l’IMES (Istituto Meridionale di Storia e Scienze sociali) che, attraverso la rivista “Meridiana”, avviò uno studio storico pluridisciplinare per analizzare le trasformazioni avvenute e “i punti dinamici che, a macchia di leopardo, si andavano diffondendo sul territorio”. Fu un tentativo isolato, privo di effetti politici.
Gli anni successivi hanno visto la scomparsa della questione dal dibattito politico. Oggi si può dire che la società meridionale in complesso è migliorata, ma alcuni problemi sono molto peggiorati: disoccupazione, povertà, diffusione della criminalità organizzata, peggioramento dei servizi (sanità, istruzione, trasporti, cultura). Il Sud non fa più problema perché “i partiti sono diventate agenzie di marketing elettorale e non hanno alcun interesse alla conoscenza”. Questa trasformazione – determinata dalle modalità dello sviluppo capitalistico e dal dilagare dell’ideologia neoliberista – “ha devastato e immiserito la cultura politica italiana e di conseguenza cancellato ogni interesse conoscitivo sulle condizioni del nostro Sud”.