Alfredo Bartolomei
Nacque a Sant’Angelo dei Lombardi il 1 marzo 1874, figlio di Luigi e Rosa Lembo.
Fu attento studioso in modo quasi pionieristico della cultura filosofico-giuridica di area tedesca e mitteleuropea, come venne evidenziato sia da Vittorio Emanuele Orlando che da Norberto Bobbio. Si laureò in Giurisprudenza all’Università di Bologna. Inizialmente positivista, si orientò poi verso una diversa prospettiva, grazie all’incontro con diversi studiosi, in particolare con i neokantiani. I Lineamenti di una teoria del giusto e del diritto con riguardo alle questioni metodologiche moderne (Roma, 1901) e il Significato e valore delle dottrine di Romagnosi per il criticismo contemporaneo (Roma, 1901) gli valsero la libera docenza di Filosofia del diritto nel giugno 1902, traguardo che gli procurò, dopo un breve periodo di insegnamento a Perugia, la cattedra in questa materia a Sassari nel 1904. Da quell’ateneo fu chiamato a Messina nel 1907, indi a Parma nel 1908, infine a Napoli nel 1912, dove sarebbe rimasto fino al 1944, data del suo collocamento a riposo. In quella città fu a lungo anche assessore alla Pubblica istruzione. B. fu, secondo alcuni studiosi del suo pensiero, tra i quali G. Brindisi e A. Luongo, precursore di dimensione europea, precocemente dimenticato, del giurista Hans Kelsen, massimo esponente del normativismo, pensiero che negli anni del nazismo si contrappose alla concezione ideologica, dogmatica e totalitaria dello Stato. B. fu eletto deputato nel collegio di Benevento, nella XXVI legislatura (1921-1924) per il Partito democratico sociale italiano (poi radicali). Con l’avvento del fascismo B. si ritirò a vita privata, nonostante le sollecitazioni di Amendola a ricandidarsi nel 1924 e pur essendo, nello stesso anno, fra i firmatari del Manifesto dell’unione nazionale di Amendola e del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce del 1925. Si dedicò quindi a tempo pieno all’insegnamento e alla ricerca, fino all’incarico ricevuto alla caduta del fascismo (25 luglio 1943) di commissario straordinario per il suo comune natale. Nell’immediato dopoguerra B. aderì al movimento dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, da lui stesso definito “crociata di civismo”, tracciandone la dottrina dello Stato amministrativo qualunquista nella Teoria del Qualunquismo (Roma, 1947). Nel 1944 fondò la rivista “Stoà”. Dal 1944, B. fu fra gli aderenti all’Unione massonica italiana, raccolti intorno all’economista Arturo Labriola, nella sede di Palazzo Brancaccio, a Roma, a favore dell’Alleanza democratica della libertà contro i “clericalismi europei”, rappresentati tanto dal comunismo quanto dalla Democrazia cristiana, che di comune accordo avevano approvato l’articolo 7 della Costituzione.
Morì a Roma il 10 luglio 1954.
Francesco Verrina Bonicelli