Giovedì 1 ottobre si è tenuto il secondo appuntamento del ciclo di conferenze I protagonisti della politica meridionalistica tra 1800 e 1900. L’incontro ha visto come relatore il professor Francesco Barra (ordinario di Storia moderna presso l’Università degli studi di Salerno), con una conferenza dedicata alla figura e all’opera di Pasquale Villari.
Villari, nato a Napoli nel 1827 in una buona famiglia della borghesia professionale, appassionato di letteratura e di storia, nel 1845 entrò nella scuola privata di Francesco De Sanctis, incontro che lo avrebbe segnato per sempre. Nel 1848 partecipò con il suo maestro e tutta la scuola alla rivoluzione del 15 maggio. Fu arrestato e dopo la liberazione si trasferì a Firenze.
Si inserì felicemente nell’ambiente intellettuale fiorentino: nel ’59 pubblicò il primo volume sul Savonarola, che gli valse la nomina alla cattedra di storia presso l’Università di Pisa. L’anno successivo dovette tornare a Napoli, dove fu inviato con l’incarico di prevenire una possibile svolta mazziniana dell’impresa dei Mille.
Il professor Barra ha iniziato la sua ampia e approfondita esposizione inquadrando la vicenda biografica e intellettuale di Villari nel contesto della sua epoca. La tragedia del brigantaggio, l’emergere in Europa della questione sociale (la Comune di Parigi) e, infine, l’esito negativo delle elezioni politiche del 1874, indussero Villari a riflettere sui limiti civili e materiali della nostra nazione. Da questa riflessione nacquero Le lettere meridionali, che, pubblicate nel marzo del 1875 sul quotidiano “L’Opinione” e poi raccolte in volume nel 1878, segnarono la nascita del dibattito sulla questione meridionale. Villari denunciò le drammatiche condizioni delle plebi meridionali, rimaste immutate anche nella “nuova Italia”, per responsabilità soprattutto delle classi dirigenti locali. Molto dure le pagine, ripercorse dal professor Barra, dedicate a Napoli, segnata dal sovraffollamento e dalle pessime condizioni igienico-sanitarie che avrebbero poi provocato l’epidemia di colera del 1884. Innovativa anche la sua analisi della camorra, che per Villari non era solo un fenomeno criminale, ma connaturata all’intera società napoletana, fenomeno trasversale: “vi sono anche camorristi in guanti bianchi e abito nero”.
L’acuta analisi dello storico avellinese è proseguita approfondendo altri momenti significativi della biografia del Villari. In particolare, si è soffermato sulla prolusione, tenuta nel 1865 all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, La filosofia positiva e il metodo storico, in cui sosteneva che il positivismo era l’applicazione del metodo storico alle scienze sociali, una svolta che determinò il suo allontanamento da De Sanctis e dalla scuola hegeliana napoletana di Bertrando Spaventa e provocò polemiche molto accese.
Il relatore ha poi sottolineato l’influenza determinante di Villari su Sonnino, Franchetti e Fortunato, ma soprattutto su Gaetano Salvemini, suo allievo a Firenze e vero erede del suo pensiero. Deputato, senatore, ministro, Villari non riuscì a incidere sul governo del Paese, e nemmeno sul Mezzogiorno. Fu considerato un “transfuga” dell’idealismo, dopo il distacco da De Sanctis, anche se, verso la fine della vita del maestro, Villari avrebbe ripreso a frequentarlo e, per incarico della vedova di De Sanctis, avrebbe curato la stampa della sua autobiografia. D’altra parte, ha affermato in conclusione il professor Barra, Villari “era rimasto nell’intimo un desanctisiano, e nella forma migliore”.
Alla fine della conferenza si è aperto un vivace e ampio dibattito, con il contributo di Elio Iannuzzi, Gennaro Passaro, Lello La Sala, Gianni Festa e Armando Montefusco.